Arturo Larcati

I giovani italiani di oggi. 

Sintesi del corso di aggiornamento e bibliografia ragionata per un approfondimento del tema

 

Il corso di aggiornamento al Pädagogisches Institut ha inteso offrire ai partecipanti alcuni spunti per orientarsi nel complesso mondo della realtà giovanile italiana. Anzitutto si è rilevato come i mass media tendano a presentare un'immagine piuttosto unilaterale e quindi fuorviante del mondo giovanile.

Giornali, radio e televisione si soffermano infatti di preferenza su fatti di cronaca particolarmente truculenti come l'omicidio di Novi Ligure nello scorso inverno o analoghi fatti di sangue, come i sassi dal cavalcavia di alcuni anni fa. Da questi singoli fatti si tende a trarre conclusioni più generali che suggeriscono l'immagine di adolescenti in preda a un omnipresente disagio nonché propensi alla violenza e agli atti criminali. Gruppi di adolescenti si trasformano facilmente in "babygang", e teenager come quelli di Novi Ligure in cow boys dalla pistola facile: "Vado l'ammazzo e torno in libertà" recita il titolo significativo di un articolo di Panorama sulla criminalità minorile.

La supposta predisposizione alla violenza e alla criminalità viene poi spiegata in genere come un comportamento legato al culto di figure carismatiche ambigue (dal Bred Pitt di Fight Club al cantante Marilyn Manson), all'entusiasmo per il satanic rock o per il satanismo vero e proprio, nonché al grande successo di cartoni animati e videogiochi violenti. La tentazione, che sta dietro allo Jugenddiskurs massmediologico, di creare un nesso diretto tra condizione giovanile e inclinazione alla violenza è problematica perché non trova riscontro né nelle statistische sulla criminalità giovanile, che negli ultimi venti anni non segnalano aumenti, né nel modo di vedersi dei giovani stessi, come confermano testimonianze del tipo di quelle contenute nell'antologia Quello che ho da dirvi (1998), curata per Einaudi da Giuseppe Caliceti e Giulio Mozzi.

L'operazione settaria dei mass media va dunque considerata più come una concessione al Zeitgeist che non come un resoconto obiettivo sul fenomeno giovanile. L'inclinazione alla violenza viene estrapolata dal multiforme universo giovanile semplicemente perché fa notizia e soddisfa il voyeurismo di una società che al cinema si esalta per le imprese di Doctor Lector e tra le mura di casa, mentre guarda il telegiornale, si informa sulle varie catastrofi in giro per il mondo senza provare il minimo fastido per i "particolari autentici" degli ormai immancabili corpi squarciati e sanguinanti. Così come appare sulla stampa o nelle inchieste TV, l'immagine violenta dei giovani di oggi è fuorviante perché, mentre indulge su certi fenomeni, si dimentica di altri aspetti altrettanto costitutivi della realtà giovanile: mentre si sbattono in prima pagina i "baby mostri", si tace o si sorvola sull'impegno dei giovani nel sociale o il loro idealismo, perché questi fatti non fanno notizia. Con ciò non si vuole negare che esista la violenza o che il fenomeno non sia inquietante, il fatto è che i mass media lo presentano in modo distorto e cioè lo modificano in modo tale da poterlo presentare come show, come divertimento, rendendo di conseguenza problematica o addirittura impossibile una discussione seria, concreta ed equilibrata su di esso.

E comunque non sono solo i fatti di cronaca ad alimentare l'immagine della gioventù violenta. La violenza come leitmotiv domina la discussione sulla scuola, sulla musica rap e su alcune recenti tendenze della letteratura. L'aumento degli atti di bullismo e di teppismo a scuola ha fatto tornare di attualità il "sette in condotta", cioè l'applicazione di severe misure disciplinari nei confronti degli studenti, allo scopo anche di ridare autorità agli insegnanti in crisi di credibilità. Che si voglia o no, la musica rap trasporta sulle ali del suo successo i toni agressivi e violenti della cultura dei ghetti americani, confezionati in versione nostrana da gruppi come quello dei napoletani Onda Rossa Posse, e a ben poco valgono le assicurazioni di Jovanotti che vuole essere la balia di un rap "contro la violenza" (come afferma nella canzone Il rap) e si serve del rap per confezionare tranquillizzanti serenate. In letteratura invece ha preso piede la moda del cosiddetto cannibalismo. Si tratta di una sensibilità che si basa su un indulgere compiaciuto su scene truculente stile Pulp fiction e su una sensibilità splatterpank, che si esalta per lo spruzzo di sangue e sceglie di essere radicalmente "contro". La rappresentazione di scene sanguinolente e truci a metà tra la fantasia e una realtà certamente un po' spinta ottiene una certa efficacia nel momento in cui si serve di una narrazione estremamente sintetica e frammentaria ispirata alla "visibilità" e alla velocità delle sequenze cinematografiche, e mostra una indubbia originalità quando riproduce un linguaggio modellato sugli slogan pubblicitari e sulle frasi della televisione oppure quando trae da un più o meno motivato sarcasmo effetti grotteschi di indubbia comicità.

Se la volontà di sottrarre fenomeni devianti come la violenza e le varie forme di sballo alla cronaca o al moralismo della letteratura tradizionale risultino plausibili non si trasformino in puri esercizi di stile o peggio ancora non finiscano per alimentare un'estetizzazione della violenza come fanno i mass media, è una questione ancora aperta che l'antologia Gioventù cannibale (Einaudi 1996) contribuisce a porre ma non può senz'altro risolvere. Ad esempio, è difficile giudicare le scene centrali di alcuni racconti che vogliono essere sanguinose e terrificanti ma risultano scopertamante false e irreali. I nuovi testi di autori come Niccolò Ammaniti e Aldo Nove, per ricordare solo i nomi più acclamati dalla critica, offriranno risposte più articolate.

L'immagine massmediale di una gioventù dedita "naturalmente" alla violenza o addirittura innamorata alla violenza (fatta di tanti piccoli Bonny and Clyde nostrani o di spietate baby gang) viene accettata facilmente dall'opinione pubblica perché viene incontro ai bisogni sia di una classe politica poco disposta a prendersi responsabilità in settori che non promettono un tornaconto immediato in termini di voti sia e perché fa comodo a molti genitori che hanno sempre maggiori problemi con il loro tradizionale ruolo di educatori. Sia da una parte che dall'altra non si è disposti ad accettare il fatto che normalmente i figli non sono né più né meno violenti dei loro padri, che non sono più innamorati della violenza della società in cui crescono. Lo psicologo Paolo Crepet non accetta questa tendenza alla rimozione e con i suoi libri cerca di ricordare ai singoli educatori e alle istituzioni i loro doveri e le loro responsabilità. Il suo Viaggio nella criminalità giovanile (Feltrinelli 1995) contiene un serio atto d'accusa: "I bambini cattivi - scrive Crepet - un cuore ce l'hanno: è quello violento dei loro padri, dei loro cattivi maestri." Le testimonianze di ragazzi inquieti e "cattivi" raccolte nel libro puntano il dito sulle responsabilità della società e va alla ricerca di quello che sta dietro ai comportamenti criminali e devianti. Crepet mostra come persino nei ragazzi che hanno commesso gravi reati si trovi una inaspettata adesione ai valori etici e morali. A volte, paradossalmente, le scelte certamente sbagliate di aderire ad organizzazioni criminali possono essere in parte motivate, secondo Crepet, dalla necessità di trovare un codice morale non offerto né dai genitori né dalle istituzioni. Inoltre, la tentazione di compiere azioni criminali per raggiungere in fretta la ricchezza e bruciare le tappe di una maturazione che normalmente è lunga e faticosa viene alimentata dalla televisione che promette la grande ricchezza a tutti e subito, creando dei miraggi pericolosi quanto i mondi artificiali creati dalla droga. Nel più recente Non li sappiamo ascoltare (Einaudi 2001), Crepet punta il dito sulle colpe dei genitori che compromettono una crescita equilibrata dei loro figli perché vogliono vederli primeggiare nello sport e nella scuola, e per far di loro dei piccoli campioni o dei primi della classe gli inculcano già in tenera età il modello della lotta spietata e della competitivà. Molto spesso, poi, questi genitori rifiutano il ruolo scomodo di educatori, cercano di comprare l'affetto dei loro figli con costosi regali che fanno da surrogato per la poca attenzione e si rifiutano spesso di porre quei limiti di cui i bambini hanno bisogno per crescere.

Negli ultimi anni a bambini-adulti, che si avvicinano ai loro padri in quanto godono di sempre maggiori libertà, si contrappongono sempre più spesso adulti- bambini, che non vogliono crescere, e rifiutando l'autoritarismo non sanno offrire le necessarie forme di autorevolezza.

Al di là di ogni considerazione, il problema del disagio e della violenza giovanili assumono volti completamente diversi se vengono osservati dal punto di vista dei genitori, degli adulti e dei mass media oppure dal punto di vista dei giovani stessi. Lo stesso vale per il crescente disinteresse dei giovani per la politica, per la religione e per i mass media. Quello che dal punto di vista degli uni appare come superficialità o come concessione al consumismo e all'edonismo ("Lasciateci divertire", riassume un titolo di Repubblica che apre un articolo sul rifiuto dell'impegno politico da parte dei giovani), viene letto dagli altri come rifiuto o incapacità di un dialogo autentico e da pari a pari, capace di soddisfare bisogni non solo di parte. Se si prescinde da differenze di prsospettive, si può comunque rilevare, da parte di quelli che il sociologo Ulrich Beck chiama "i figli della libertà", una tendenza a percepire i valori morali e gli spazi della responsabilità in termini più personali e individuali, sempre più al di fuori di logiche politiche e religiose. Ciò crea un rapporto ambivalente con i modi tradizionali di vivere la politica e la religione. Ad esempio, cala il numero dei cattolici praticanti, ma non cala il bisogno di religiosità o di moralità, come viene constatato anche da Paolo Crepet. Lo stesso vale per la politica. Difatti, così come come si creano sfere più private, in cui si rifiuta l'ingerenza di istituzioni religiose e politiche e valgono codici di comportamento tendenzialmente soggettivi, si delineano anche sfere d'azione che trascendono i normali ambiti politici e religiosi: l'ambiente, la disoccupazione, l'Aids sono preoccupazioni che vengono percepite al di sopra e la di fuori degli interessi di partito e inadeguate a essere delegate allo scontro partitico e politico; d'altra parte, l'ideale della vita come valore da vivere in sé e per sé e una maggiore tolleranza in materia etica e sessuale vengono visti come progetti o programmi da realizzare (al di fuori e) al di là delle singole professioni religiose. In questa logica, dunque, politica e religione sono funzionali alla morale e all'etica, e non viceversa.

 

Bibliografia ragionata per un approfondimento del tema


I giovani e la religione. I giovani e le politica. Le risposte degli psicologi al disagio giovanile.


Colozzi
, Ivo, Aspetti della religiosità giovanile: il rischio di una fede senza trascendenza, in: Giovani e generazioni. Quando si cresce in una società eticamente neutra, a cura di Pierpaolo Donati e Ivo Colozzi, Bologna Il Mulino 1997, 195-214.


Beck, Ulrich, L'individuo nell'epoca della globalizzazione. I rischi della libertà, Bologna Il Mulino 2000.


Crepet, Paolo, Viaggio nella criminalità giovanile, Torino Einaudi 1999.


Crepet, Paolo, Non siamo capaci di ascoltarli. Riflessioni sull'infanzia e sull'adolescenza, Torino Einaudi 2001.

I giovani, il mondo dell'istruzione (la scuola e l'università) e del lavoro


Prandini
, Riccardo, Scuola e lavoro: due realtà sempre più discriminanti, in: Giovani e generazioni. Quando si cresce in una società eticamente neutra, a cura di Pierpaolo Donati e Ivo Colozzi, Bologna Il Mulino 1997, 117-152.


Reyneri, Emilio: Occupati e disoccupati in Italia. I più garanti: maschi a adulti. I più indifesi: giovani e donne. Un posto di lavoro per famiglia? Lavorare al sud, lavorare al nord: i paradossi del caso Italia, Bologna  Il Mulino 1997.

Il linguaggio giovanile


Il linguaggio giovanile degli anni novanta. Regole, invenzioni, gioco, a cura di Emanuele Banfi e Alberto Sobrero, Roma/ Bari Laterza 1992.


La lingua dei giovani, Hrsg. von Edgar Radtke, Tübingen Narr 1993.


Lotti, Gianfranco: Le parole della gente : dizionario dell'italiano gergale ; dalle voci burlesche medioevali ai linguaggi contemporanei dei giovani, Milano  Mondadori 1992.


Radtke, Edgar, Varietà giovanili, in: Aa.Vv., Introduzione all'italiano contemporaneo, Bari 1993, 191-235.

I giovani e la musica


Giacomelli, Roberto, Lingua Rock: l'italiano dopo il recente costume giovanile, Napoli Morano 1988.


Pacoda, Pierfrancesco, Hip hop italiano, Einaudi Torino 2000.


Potere alla parola. Antologia del rap italiano. Introduzione di Jovanotti. Cura di Pierfrancesco Pacoda, Milano Feltrinelli Editore 1996.


I giovani e la letteratura


AaVv, Anticorpi. Racconti e forme di esperienza inquieta, Torino Einaudi 1997.


Brizzi, Enrico, Jack Frusciante è uscito dal gruppo,  Milano  Baldini & Castoldi 1997.


Brizzi, Enrico, Bastogne, Milano  Baldini & Castoldi 1996.


Culicchia Giuseppe, Tutti giù per terra. Romanzo, Milano TEA 1997.


Gioventù cannibale. La prima antologia italiana dell'orrore estremo, a cura di Daniele Brolli, Torino Einaudi 1996.


Comodi, Anna, Tratti lessicali e morfosintattici del parlar giovane in "Jack Frusciante è uscito dal gruppo" di Enrico Brizzi, Perugia Guerra 1998.


Il sesso, l'amore e i genitori visti dai giovani


Fofi, Goffredo, My generation : l'amicizia, la politica, il sesso, la noia, la notte, la droga, la scuola: 19 giovani esordienti raccontano la loro generazione. Con un'intervista a Goffredo Fofi. - Torino : Nuova Eri, 1994.


Mina, Claudio: Sesso e amore. Educazione sessuale per giovani, Roma  Città Nuova 1974.
Quello che ho da dirvi. Autoritratto delle ragazze e dei ragazzi italiani, a cura di Giuseppe Caliceti e Giulio Mozzi, Torino Einaudi 1998.